Non so voi, ma devo confessarvi che non ho mai amato tantissimo Giovanni Pascoli alle scuole superiori. L’ho sempre un po’ snobbato, preferendo “Ossi di seppia” di Montale o “Natale” di Ungaretti.
Lo vedevo penitente a trascorrere la sua intera vita con le sorelle, a pensare al paesaggio, ai fiori e alle piante, alla ricerca di quel nido famigliare che aveva perduto, così lontano da me, soprattutto dalla teenager di allora.
Ignoravo in realtà molto della sua vita, non semplice e agiata, con questo profondo lutto nel cuore che come un marchio, lo segnerà per sempre.
La storia inizia così. Giovanni Pascoli, chiamato affettuosamente Giovannino, è il quarto figlio della famiglia Pascoli, terzo figlio maschio della casa.
Porta il nome dello zio, fratello maggiore del padre Ruggero. I due fratelli infatti amministrarono insieme la tenuta del principe di Torlonia a San Mauro, un paesino nella campagna tra Rimini e Cesena dove Giovanni Pascoli nasce il 31 dicembre 1855. Oggi San Mauro si chiama San Mauro Pascoli, proprio in onore del poeta.
La vita scorre serena finché un bel giorno Ruggero Pascoli muore assassinato sulla via del ritorno alla villa, dopo un viaggio verso Cesena, mentre guida il suo calesse. L’unica ad assistere agli ultimi momenti di vita di Ruggero è proprio la fedele cavalla del calesse, a cui Giovanni Pascoli dedicherà la famosa poesia (La cavalla storna).
La vita della famiglia viene completamente distrutta da questo drammatico episodio, emotivamente e finanziariamente. Pochi anni dopo muore anche la madre e i figli più grandi si ritrovarono a prendersi carico dei più piccoli.
Nel frattempo Giovanni Pascoli, con una borsa di studio, riesce ad accedere all’università di Bologna dove si appassiona sempre di più al latino, al greco ma anche alla poesia di Carducci che sostituirà successivamente alla cattedra.
Si avvicina al movimento anarco-socialista, viene addirittura arrestato per tre mesi durante una manifestazione. Ama le donne, s’innamora, flirta. Non proprio il ragazzo mite e timido a cui avevo sempre pensato.
Dopo la laurea, diventa lui stesso docente in vari licei e come tutti i docenti precari italiani, inizia il suo viaggio in varie città d’Italia come Matera, Massa, dove viene raggiunto dalle sorelle Ida e Maria. Poi Livorno, Messina, per sistemarsi definitivamente a Castelvecchio in Garfagnana, in provincia di Lucca, dove ogni volta torna dopo l’insegnamento a Bologna.
Ma la Romagna è sempre con lui. Mentre si trova in Sicilia, chiede agli amici di inviargli le bottiglie di vino e lo scoprono con il grembiule a impastare le tagliatelle. Giovanni Pascoli ama il buon cibo, il buon vino, vuole recuperare i sapori di quella Romagna che gli ricorda tanto casa. Dedica addirittura una poesia alla piadina.
“Azimo santo e povero dei mesti
(La piada)
agricoltori, il pane del passaggio
sei, che s’accompagna all’erbe agresti…”
Pianta le talee in Toscana per riassaporare il suo vino e fare la vendemmia, proprio come faceva suo padre. La perdita del padre sarà sempre impressa nella sua memoria; questo omicidio mai risolto lo tormenterà negli anni.
“Ritornava una rondine al tetto:
(10 agosto)
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.”
Questa è una breve sintesi di una vita travagliata, seguono altre vicissitudini, i rapporti con la sorella che successivamente si deteriorano, lo stato d’animo di Pascoli, la giustizia che non fa il suo compito.
È possibile addentrarsi maggiormente nello spirito del poeta visitando la sua casa natale a San Mauro Pascoli, adibita a museo e la Villa Torlonia, a pochi chilometri dal paese.
La casa di Pascoli, non è di grandi dimensioni ed è visitabile completamente in un’ora al costo di 3 €. Ha ospitato la famiglia Pascoli fino alla morte prematura del padre e successivamente è stata venduta per far fronte alle spese. Pascoli, sebbene avesse tentato di riacquistarla una volta adulto, non riuscì mai nell’intento. È rimasta intatta la cucina e alcuni mobili dell’epoca.
L’Università di Bologna ha donato lo studio del poeta che è stato ricostruito all’interno, arredando una camera al primo piano. Mi colpisce una decorazione a intarsio: il nido, figura chiave di tutta la poetica pascoliana. Forse tutto era già scritto nella vita del poeta?
Alle pareti le foto della famiglia, l’elenco dei partecipanti al corteo funebre del funerale di stato, le lettere del direttore di Matera, e qualche monitor touch per gli approfondimenti. La casa avrebbe bisogno di un riallestimento, ma la vita di Pascoli è così avvincente che sono stata rapita dalla profondità dei contenuti tralasciando tutto il resto.
La storia della famiglia Pascoli si sposta a Villa Torlonia, il cui recupero è iniziato negli anni 80 del 900. La struttura si trovava in completo degrado, era addirittura diventata un pollaio.
Oggi all’interno è possibile visitare un museo multimediale dedicato al poeta. Non rimane molto a livello di oggettistica, quadri e affreschi, se non l’ampia struttura architettonica, ma le immagini di cieli, pioppi, Rio Salto, la cavalla che vengono proiettate sui muri delle cantine, stalle e cucina, riempiono di contenuti quelle mura ormai spoglie.
Accompagnati da una voce narrante, il mondo del poeta prende forma da un lontano passato. È da qui, villa Torlonia, che nasce il profondo legame di Pascoli con la sua terra di origine e ne capisco ora il motivo.
È sempre difficile contemplare un’opera d’arte senza conoscere il background dell’artista e trovo sia così anche per la poesia. Visitando i luoghi in cui il poeta è vissuto riusciamo a percepire il suo sguardo, il suo mondo, il suo stato d’animo, come se non si fosse mai allontanato da quei luoghi. Il paesaggio diventa lo specchio dell’anima di Pascoli.
“Nella Torre il silenzio era già alto. Sussurravano i pioppi del Rio Salto.”
La cavalla storna
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